Il San Fermo Ritrovato

Il San Fermo Ritrovato

Alle origini del culto del primitivo Santo patrono di agricoltori e allevatori nell’antico Gabiano.

La tela di San Fermo esposta nella nostra chiesa

Dallo scorso 20 dicembre, data del suo rientro in Borgo San Giacomo dopo gli attenti restauri condotti in Brescia dal Prof. Leonardo Gatti, abbiamo tutti avuto modo di apprezzare la vividezza dei colori, la ricca policromia e, più in generale, la bellezza ritrovata della seicentesca tela di San Fermo. Questo prezioso dipinto, esposto su di un apposito cavalletto di fronte all’altare dell’Ultima Cena nella nostra chiesa parrocchiale, costituisce forse una delle opere di maggior pregio del ricco patrimonio artistico facente capo alla nostra parrocchia: questo per la sua considerevole qualità pittorica, l’attento realismo, l’originalità del soggetto e l’innegabile valore storico di quest’ultimo per la ricostruzione dei trascorsi della comunità gabianese degli ultimi quattrocento anni.

Nella parte alta della tela, infatti, la figura di San Fermo, cavaliere-eremita qui rappresentato in abiti da soldato romano, dall’alto dei cieli e circondato da angeli e cherubini volge il proprio sguardo al Divino invocandone la benedizione. Al di sotto della sua figura si stagliano i profili di tre allevatori gabianesi i quali, circondati dai propri preziosi animali (asini, buoi, pecore, cani, maiali etc.), invocandone la benedizione, fanno da cornice a una visione prospettica capace di catapultarci direttamente nel Gabiano del XVII secolo: al centro infatti, circondata da ameni pascoli e greggi, si staglia la sagoma della chiesa di San Genesio (così come la vediamo oggi, nonché luogo originario di custodia della tela) e, in secondo piano, il profilo della nostra chiesa parrocchiale (eretta pochi anni prima) e della sua primitiva torre campanaria (poi abbattuta e sostituita, pochi decenni dopo, da quella attuale).

Il delicato restauro della cornice della tela

Ma perché proprio San Fermo? Quali furono le ragioni storiche e antropologiche che spinsero i nostri antenati ad appellarsi a questo Santo? A cosa si deve l’approdo del suo culto nelle terre di Gabiano e quali furono infine le ragioni che, nel secolo XIX, portarono alla sua sostituzione con il più celebre Sant’Antonio Abate? Secondo le ricerche da me condotte in tal senso, supportate dai numerosi scritti e riferimenti lasciati dal celebre storico bresciano Mons. Antonio Fappani, questo culto non avrebbe origini lontane bensì bresciane e, più specificatamente, camune. È nella nostra Valle Camonica, infatti, che si diffuse in epoca carolingia (IX/X secolo d.C.) una leggenda inerente a San Fermo e ai suoi fratelli eremiti Santa Cristina e San Glisente: per i tre santi, rivisitati in chiave camuna, vennero costruiti altrettanti santuari nei luoghi tradizionalmente attribuiti al loro eremitaggio e quello di Borno, dedicato al nostro San Fermo, divenne il centro di culto più importante. Storicamente è a San Fermo che i pastori e gli alpigiani della media Val Camonica si appellavano per la protezione del bestiame. Inoltre, la festa che si celebrava sul monte del santuario in occasione del giorno a lui dedicato (9 agosto), ritrovo per centinaia di pellegrini provenienti da tutta la valle, era vissuta come un’occasione per il regolamento di conti e disaccordi precedente nati a causa, soprattutto, di sconfinamenti nei pascoli. Con il concreto rischio che questi regolamenti potessero sfociare nel sangue la figura di San Fermo fungeva da nume tutelare e la festa a lui dedicata era vissuta quale occasione di riappacificazione. Addirittura, l’erba dei prati tutt’attorno al santuario era ritenuta miracolosa dai pastori locali tanto che era usanza, nel caso i cui una bestia fosse caduta in malattia, portarla a brucare quest’erba “santa” nella convinzione che la guarigione sarebbe presto sopraggiunta grazie all’ausilio del Santo.

La serata
della presentazione dell’opera

Ma, data questa premessa, qual è il filo conduttore capace di legare questi pastori, questi alpigiani, questi “montagnì” e la nostra comunità gabianese? Qui entra in gioco il nostro archivio parrocchiale: numerosissime, infatti, sono le testimonianze racchiuse all’interno dei suoi tomi che ci rivelano nomi e cognomi di singoli pastori o intere famiglie di valligiani scappati dalle terre d’origine a causa di fame e povertà. La montagna non era in grado, con le sue risorse limitate, di sfamare tutti i suoi figli e l’abbandono delle valli di origine diveniva per molti una necessità. Approdando nelle nostre fertili campagne questi mandriani iniziavano naturalmente a lavorare alle dipendenze dei ricchi proprietari terrieri di allora, gestendone le poche bestie da latte allevate. Famiglie tuttora presenti nel nostro comune come i Baronchelli, i Tomasoni o i Toninelli (giusto per citarne alcune) derivano proprio da questi pastori di montagna. Il fatto stesso che numerosi di questi ceppi famigliari siano oggigiorno legati al mondo agricolo non è casuale: i loro antenati infatti seppero reinvestire, soprattutto nel corso del XIX secolo, larga parte dei propri considerevoli guadagni derivanti dalla lavorazione del latte e dalla conseguente produzione di formaggio (di cui detenevano quasi il monopolio) nell’acquisizione di terre in larga parte possedute dalle vecchie famiglie nobili locali, ormai decadute. Questo reinvestimento di capitali avrebbe segnato da allora in avanti le nostre campagne e l’assetto stesso della nostra locale agricoltura, dando il via alla diffusione su larga scala degli allevamenti di bovini da latte e alla nascita dell’industria lattiero-casearia bresciana.

Con l’avvento dell’industrializzazione e della grande riforma agraria di fine Ottocento, con un’agricoltura ormai strutturata e un allevamento non più errante bensì sedentario e dislocato in stalle, San Fermo perse la sua funzione in favore di Sant’Antonio Abate: quest’ultimo, protettore dal fuoco, avrebbe saputo d’ora in poi meglio proteggere gli allevatori dal nuovo principale pericolo a cui andavano incontro, ovvero l’incendio delle proprie stalle. Con il Novecento si sarebbe chiusa questa secolare storia: il mondo era cambiato, la memoria dei padri si era ormai persa e per San Fermo non sarebbe rimasto null’altro che l’oblio…

Venturini Giorgio
(dal Bollettino Parrocchiale di Marzo 2025)

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