Chiesa parrocchiale di San Giacomo

La chiesa intitolata a San Giacomo per ben dieci lunghi secoli non fu !’attuale parrocchiale ma bensì quella che, in Borgo San Giacomo, tutti sono abituati a chiamare “Chiesa del Castello”, anche se nella realtà è dedicata all’Immacolata Concezione. La costruzione della nuova parrocchiale ebbe inizio nel 1594; nel 1609 la chiesa era terminata e poté essere benedetta, per delega vescovile, dal parroco Covo e vi si cominciarono a celebrare le sacre funzioni. La consacrazione solenne avvenne però l’otto giugno del 1625.
Era opinione del famoso studioso di storia bresciana monsignor Guerrini che il progetto fosse dell’architetto Giovan Antonio Avanzo: la chiesa presenterebbe affinità stilistiche con la parrocchiale di Ghedi. È però da ritenersi più attendibile, perché criticamente più fondata, la diversa opinione di chi ne attribuisce il progetto all’orceano Pietro Maria Bagnadore.
L’impianto è solido, rigoroso ed equilibrato. L’interno si presenta suddiviso in tre navate ed in cinque campate: una duplice fila di colonne monolitiche in marmo a sezione circolare e con capitelli di ordine tuscanico con archi a tutto sesto determina la navata centrale ricoperta da un’ampia volta a botte e la distingue dalle laterali che mostrano profonde volte a padiglione.
La navata principale si prolunga nel presbiterio, leggermente sopraelevato, e si conclude nell’abside poligonale (con copertura che in questo caso è a botte) nella quale si innesta la sacrestia che raccorda la chiesa alla base del campanile. La sacrestia come si trova al presente venne fatta nel 1727 demolendo le due che vi erano prima.
Nel 1699, in considerazione della sua insufficiente capienza, la chiesa fu allungata di una campata verso ponente.
La facciata venne realizzata quasi un secolo dopo il progetto originario e venne probabilmente ricostruita sul modello della precedente bagnadoriana: infatti presenta i tratti caratteristici del progettista orceano.
Risulta nettamente suddivisa su due ordini da un cornicione marcapiano. In quello inferiore si aprono due nicchioni che accolgono le statue dei. SS. Pietro e Paolo di scuola callegariana. Quello superiore, sovrastato dal timpano triangolare munito d1 acroteri, chiude solo la navata centrale.
Elegante il portale con colonne tuscaniche, trabeazione e volute affrontate. Delle tre statue che ornano la facciata, attribuite allo scultore Santo Calegari il Vecchio (1662-1717), la migliore è quella centrale che rappresenta il patrono San Giacomo e che venne posta nella sua nicchia sopra la porta della chiesa nel 1701, testimoniando che l’allungamento della parrocchiale era finito. Le altre due rappresentano i Santi Pietro e Paolo.
Gli affreschi e gli stucchi seicenteschi abbelliscono la volta del presbiterio e le vele della navata centrale.
I restanti affreschi furono eseguiti nel 1920 e sono opera di Vittorio e Giuseppe Trainini: episodi evangelici di Gesù che parla alle turbe, Gesù che invia gli apostoli, Gesù che disputa con i farisei. L’affresco dell’abside fu eseguito nel 1929 dal solo Vittorio.
Il primitivo altare maggiore fu sostituito nel 1751 dall’attuale, barocco, con gradoni concavi elevati sulla mensa, in marmi policromi. L’altare della Circoncisione, detto anche “della Schola” o “della Madonna”, fu eretto nel 1691. la tela rappresenta l’episodio della circoncisione e presentazione al tempio. L’altare del S. Sacramento fu eretto sin dal 1604. Sulla mensa marmorea s’innalza la monumentale cornice lignea riccamente intagliata e dorata che incornicia degnamente l’Ultima Cena di Antonio Gandino detto il Vecchio (1565-1631). All’estremità della navata destra vi era, sin dal 1604 l’altare dei Santi o del Suffragio. Questo altare fu poi collocato nel 1719 di fronte a quello della Circoncisione per far posto all’altare della SS. Croce, edificato nel 1720 a spese del Comune di allora, che, avuti in dono nel 1718 dal quinzanese Andrea Calzavacca due frammenti della S. Croce, si trovò nella necessità di apprestare una degna sede per collocarvi la venerata reliquia.
In corrispondenza della seconda arcata sinistra, un’ubicazione piuttosto insolita assunta in conseguenza del successivo prolungamento della chiesa, si apre la cappella del Battistero, che fu costruita dopo il 1687. È degna di nota la vasca marmorea battesimale a tazza, su base ottagonale, con lo stemma comunale (la Gabbia) presente anche sulla base delle tre acquasantiere e la scritta “Gabianum”. Questo stemma è sicuramente il più prezioso reperto storico che ci sia pervenuto del vecchio Gabiano.
Vi si legge una data. MDLXXVII (1577). Proviene quindi, evidentemente, dalla primitiva parrocchiale del castello.

La Torre Maggiore

La primitiva chiesa parrocchiale di San Giacomo si trovava, sino alla fine del 1500, in Castello. La sua torre fu anche la primitiva e principale torre campanaria del vecchio Gabiano.
Quando venne edificata la nuova chiesa dedicata al patrono del nostro paese, pur essendo stata terminata nel 1609, questa rimase senza torre campanaria per un intero secolo. Non che non si fosse mai parlato o progettato di costruire una torre campanaria per la chiesa parrocchiale, ma si era arrivati alla fine del 1600 senza che nulla fosse stato fatto. Quando poi, fra il 1699 ed il 1701, la stessa chiesa parrocchiale venne allungata dell’ultima arcata e divenne veramente imponente, ecco che la necessità di una propria torre campanaria che potesse coronare la nuova e grande costruzione, si fece ancora più impellente. Venne allora deciso di dare finalmente il via ai preparativi necessari. Autore del disegno della torre fu il reverendo Padre Iubilato dei Minori Osservanti Francesco Spinoni detto “Pensiero”, di Gabiano. Questo padre era molto perito nell’arte dell’architettura, e come tale, virgola fu autore dello svelto e bel disegno della torre nell’anno 1698 ed era molto ansioso di vederlo eseguito; ma, ci racconta la cronaca del tempo: “il signor Iddio, che egli solo è Padrone assoluto della vita degli uomini, compiacerlo affatto non volle, ma solo in parte, imperciocché gli donò vita di poterla solo veder principiata nell’autunno dell’anno 1705 e secondo della già incominciata a Torre“.
Il 15 ottobre del 1704 fu dato quindi principio alla fabbrica della Torre di San Giacomo. La prima pietra fu portata in processione con tutto il clero ed il popolo cantando le litanie della Beata Vergine. Fu benedetta dall’arciprete di Gabiano Don Giuseppe Manerba. Vero e proprio ideatore ed esecutore dell’ardita impresa della fabbrica della Torre fu Don Antonio Bono, uno dei Curati di Gabiano. Essa fu eretta a spese del clero sotto la instancabile direzione dello stesso curato Bono.
I nostri compaesani dell’epoca erano molto soddisfatti della nuova Torre, da essi chiamata aperte “Torre Maggiore” o aperte “Torre del Popolo”, tanto che, a loro dire, in quanto al materiale utilizzato per la sua fabbrica, all’altezza e alla solidità non era superata da altra simile costruzione in tutto il Dipartimento se si accettuava la torre del popolo di Brescia, tanto è vero che era ben rinomata anche tra i vicini Dipartimenti.
Ma questo non parve bastare ai gabbianesi. È vero, La Torre si ergeva alta e solenne nel cielo con la sua mole a dominare un vasto orizzonte, ma la si volle completare sormontandola con una grande e bella cupola alta 47 braccia (misura che corrisponde a 23 metri).
La cupola venne terminata nel 1716. Finalmente quindi la bellissima Torre di Gabiano era completata. La sua altezza totale raggiungeva i 78 metri e la sua cupola era l’orgoglio dell’intera comunità gabianese. Ma tutto questo purtroppo non doveva durare a lungo.
Il 16 agosto del 1767, durante un violento temporale estivo, avvenne la caduta di due fulmini sopra la cupola della Torre. Alle ore 12 cadde un fulmine sopra la cupola appiccandole fuoco essendo questa di legno; successivamente il fulmine scese verso la parte sottostante della torre sino in sacrestia.
Dopo un quarto d’ora cadde un altro fulmine dalle finestre delle campane, spezzò completamente una colonna di marmo delle balconate, bruciando superficialmente il campanaro Lissari e il giovane figlio della vedova Gennari detta “Cusina“, entrambi saliti dopo la caduta del primo fulmine per vedere il fuoco acceso nella cupola. Le scottature furono tali che il giovane morì dopo 9 giorni e il vecchio dopo 12 giorni.
La parte superiore della cupola andò quindi perduta per ben 4 metri.
La cupola rimase in questa situazione precaria quasi due anni. Il giorno 10 febbraio del 1769, essendo scoppiata nella notte una tempesta con pioggia violenta, vento impetuoso con tuoni e lampi, alle 6:15 di mattina crollò tutta la cupola.” era stata smossa e sconquassata dai fulmini precedenti. Il crollo della cupola provocò contemporaneamente il crollo di tutto il castello con le campane assieme, di tutte le scale e dei solai della Torre.
I marmi caduti dalla parte a tramontana fracassarono il tetto a volta della sacrestia con grande danno dei banchi e dei paramenti; quelli caduti dalla parte a mattina fracassarono le quattro stanze della casa di un certo Francesco Chiodella (attuale casa Permon) il quale essendo a letto con sua moglie ed una piccola creatura, per miracolo si salvò. Dentro poi alla torre vi erano 16 braccia ad altezza di materiale caduto con travi, assi, pietre, ferri, mattoni, campane e calcina in gran quantità. Le campane non ebbero a subire danni, fuorché quella più grossa che rimase senza maniglia.
Appena caduta la cupola subito si pensò al riparo di tanta rovina, chiamando il popolo a lavorare con badili per liberare la sacrestia e la Torre e trarre fuori dai materiali le campane. A far tutto questo furono impiegati tantissimi uomini per un’intera settimana.
Deputati alla sistemazione della Torre furono i reverendi Don Paolo Gennari e don Faustino Piscioli. Dagli abitanti di Gabiano furono offerte 74 piante tra albare e roveri. Si rifecero il tetto della sacrestia ed un nuovo castello per le campane, riparando anche la torre. La singolarissima cupola fu però sostituita con una semplice balconata marmorea.
Si propose anche la ricostruzione della cupola stessa, ma essendo in corso, a quell’epoca la costruzione del monumentale camposanto oggi noto col nome di Sagrato, fu deciso di attendere il completamento di questa opera. Ma alla fine del secolo, arrivata la rivoluzione portata dalle truppe francesi e mutata la realtà sociale del nostro paese, anche della cupola non si parlò più.
La torre ebbe per circa 200 anni un solo orologio ed un quadrante rivolto verso la piazza. Solo negli anni ’40 vennero aggiunti anche sugli altri due lati i quadrati che le fecero assumere l’aspetto attuale.
Recentemente le campane sono state restaurate. In nove bronzi alloggiati sulla torre dalla fine dell’ultima guerra, da qualche tempo manifestavano segni di usura, con pericolose crepe nel castello campanario. La minaccia di crollo coinvolgeva anche la parte esterna del campanile; durante i temporali con pioggia battente, era ormai frequente il distacco di calcinacci dai quadranti dell’orologio.
Per questo motivo si è reso necessario un intervento di ristrutturazione del campanile mediante restauro delle campane, sistemazione dell’orologio e rifacimento delle rampe di scale all’interno della Torre, oggi visitabile.

Chiesa della Immacolata concezione del Castello

Notevole dal lato artistico, ma soprattutto per una costante tradizione di pietà Mariana, e la chiesa sussidiaria dell’Immacolata nel Castello. Sull’area di essa doveva sorgere probabilmente L’antica chiesa parrocchiale di San Giacomo“.
Così, nel 1937, scrive della nostra chiesa del Castello Monsignor Paolo Guerrini.
Oggi del castello in cui sorgeva non vi è più alcun segno: vi è soltanto la chiesa che si erge sopra una specie di altura, sicuramente sul luogo della precedente chiesa parrocchiale di San Giacomo. Monsignor Bodini pensava sorgesse forse sulle rovine dell’Antico oratorio o cappella del Castello. In realtà sorge sicuramente sul luogo della precedente chiesa parrocchiale di San Giacomo. La piazzetta davanti alla chiesa è stata adibita a cimitero fino a quando fu fatto il camposanto vicino alla chiesa parrocchiale, in seguito diventò luogo pubblico dove si riunivano oche, anitre e zingari. Dopo La grande guerra, 1924, vi si fece il Parco della Rimembranza con le piantagioni che ancora oggi esistono; dalla piazza maggiore vi si trasformò il monumento dei caduti.
Sopra la pietra tombale di un sepolcro comune si legge la data: anno domini MDLX; evidentemente si tratta di una tomba della chiesa preesistente. Anche questa chiesa, come tutte le altre, serviva da cimitero.
Vi sono ancora numerose tombe, in parte anonime ma alcune con epigrafi, come quelle dei due benemeriti sacerdoti Don Lodovico Manenti e Don Tommaso Mercandoni.
Qui era fino dal 1600 una fiorente Confraternita dell’Immacolata, una specie di oratorio misto di quei tempi, che officiava la chiesa come sua sede. Come è attualmente, la chiesa venne ricostruita tra il 1716 e il 1720 sull’area di un edificio più antico, conforme allo stile elegante del tempo, con tre splendidi altari marmorei, ornati di belle pale della stessa epoca.
Chi è l’attuale chiesa non sia quella originaria, lo sta a dimostrare anche il tozzo e massiccio Campanile, di impianto cinquecentesco, che la affianca.
Principiata nel 1716 la fabbrica su disegno dell’architetto Andrea Camerini (anche se l’enciclopedia Bresciana attribuisce il disegno all’architetto Giovanni Spazio), la si trovò troppo stretta, e per continuare la fabbrica si domandò un nuovo disegno. E così si fabbricò la chiesa del Castello quale si trova al presente. Il curato Don Tommaso Mercandone fu l’ideatore ed il promotore della riforma della chiesa del Castello; morì nel 1719 e fu sepolto nella stessa chiesa dinanzi al presbiterio e sulla sepoltura fu posta una lapide con una iscrizione che si conserva ancora e che ne ricorda le benemerenze. Dal 1724 al 1727 furono eretti e benedetti i due altari laterali del Castello, uno sub titulo di San Antonio di Padova; l’altro sub titulo et invocatione pietatis ( o altare della Pietà). Vi è San Carlo che assiste gli appestati e la tela è splendida. La pianta centrale dell’edificio è impostata su un ottagono irregolare, che definisce la navata.
E per finire dall’enciclopedia bresciana apprendiamo che invece l’autore sarebbe il pittore croato Bencovich, operante nei territori della Repubblica veneta nel 1700.
Vi sono infine alcuni affreschi del 1400 strappati Dalla Chiesa di San Genesio. Dalla stessa chiesa provengono due bellissime statue in legno policromo di San Genesio del 1475 e di San Fermo del 1500.
È anche da segnalare il pulpito ottocentesco, il legno di noce intagliato, che risulta essere stato costruito nel 1866 dall’intagliatore soncinese Giuseppe Roccatagliata. Il basamento di sostegno è costituito da colonne scanalate. Il parapetto presenta riquadrature con pannelli intarsiati a motivi fitomorfi, separati da paraste raffiguranti Cherubini e i simboli dei quattro evangelisti. Il cappello ha linea sagomata è diretto da mensole a volute; centralmente presenta una colomba dorata e intagliata.io

Chiesa di San Rocco o della Madonna del Rosario

La bella chiesa cinquecentesca di San Rocco o della Madonna del Rosario venne costruita nel 1520 (le prime notizie sicure risalgono al 1528) in adempimento ha un voto popolare fatto dai nostri antenati in occasione dell’epidemia di peste del 1515 – 1516 seguita all’invasione francese e spagnola del territorio bresciano. Il terreno su cui edificare l’edificio sacro in onore di San Rocco, il santo protettore della peste, venne donato da una pia nobildonna, la contessa Beatrice Lana, che aveva delle proprietà anche nel nostro Gabiano.
La chiesa venne costruita soprattutto grazie all’intervento finanziario dei nobili Canipari, una delle famiglie più illustri del nostro paese, in possesso tra l’altro della grande cascina Palazzo.
I Canipari, probabilmente propaggine dei Martinengo, furono anche nei secoli successivi, e sino alla loro estinzione in Gabiano all’inizio del 1800, i veri protettori e patroni di questa chiesa.
Il loro ultimo importante intervento fu la costruzione del 1747 dell’altare della Vergine del Rosario.
Gli ultimi Canipari, l’ex benedettino Don Anselmo e l’abate Don Giovanni, beneficiando la Casa di Dio in Brescia e legando ad essa tutto il loro ingente patrimonio, beneficiarono anche i poveri di Borgo con clausole e diritti di assistenza e di ricovero che ancora si conservano. Molti dei Canipari rivestirono l’abito dei domenicani. E infatti i frati domenicani appaiono numerosi all’interno della chiesa in quadri e affreschi. In questa chiesa, la nobile famiglia volle anche avere la propria tomba gentilizia. La tomba dei Canipari è la prima di destra.
Nella parte alta appare il loro stemma rappresentato da una doppia coppia di chiavi incrociate. Sotto si legge ancora molto bene questa iscrizione: “D. Joan. Baptistae Canipario – et eius posteris – sepulcrum – 1588”
L’edificio si presenta di impianto rinascimentale, anche se rimaneggiato nel corso del XVIII secolo. La facciata ha una struttura a capanna abbellita da un rosone e da due ampi finestroni rettangolari. Un portalino architravato in marmo bianco, di fattura settecentesca, è sormontato da un arco spezzato centrato da una edicola con la statua della Vergine Madonna del Rosario del secolo XVIII, della scuola di Callegari Sante il vecchio.
L’interno è ad un’unica navata ritmata sui fianchi da quattro cappelle laterali. Recentemente sulle pareti della navata sono stati riscoperti affreschi di buona scuola cinquecentesca, non ancora attribuiti ad un autore certo.
La chiesa venne costruita soprattutto grazie all’intervento finanziario dei nobili Canipari, una delle famiglie più illustri del nostro paese, in possesso tra l’altro della grande cascina Palazzo.
I Canipari, probabilmente propaggine dei Martinengo, furono anche nei secoli successivi, e sino alla loro estinzione in Gabiano all’inizio del 1800, i veri protettori e patroni di questa chiesa.
Il loro ultimo importante intervento fu la costruzione del 1747 dell’altare della Vergine del Rosario.
Gli ultimi Canipari, l’ex benedettino Don Anselmo e l’abate Don Giovanni, beneficiando la Casa di Dio in Brescia e legando ad essa tutto il loro ingente patrimonio, beneficiarono anche i poveri di Borgo con clausole e diritti di assistenza e di ricovero che ancora si conservano. Molti dei Canipari rivestirono l’abito dei domenicani. E infatti i frati domenicani appaiono numerosi all’interno della chiesa in quadri e affreschi. In questa chiesa, la nobile famiglia volle anche avere la propria tomba gentilizia. La tomba dei Canipari è la prima di destra.
Nella parte alta appare il loro stemma rappresentato da una doppia coppia di chiavi incrociate. Sotto si legge ancora molto bene questa iscrizione: “D. Joan. Baptistae Canipario – et eius posteris – sepulcrum – 1588”
L’edificio si presenta di impianto rinascimentale, anche se rimaneggiato nel corso del XVIII secolo. La facciata ha una struttura a capanna abbellita da un rosone e da due ampi finestroni rettangolari. Un portalino architravato in marmo bianco, di fattura settecentesca, è sormontato da un arco spezzato centrato da una edicola con la statua della Vergine Madonna del Rosario del secolo XVIII, della scuola di Callegari Sante il vecchio.
L’interno è ad un’unica navata ritmata sui fianchi da quattro cappelle laterali. Recentemente sulle pareti della navata sono stati riscoperti affreschi di buona scuola cinquecentesca, non ancora attribuiti ad un autore certo.
Il Campanile, con l’alta guglia conica, è contemporaneo all’edificio. Il ricordo della vittoria navale di Lepanto del 7 ottobre 1571, perennemente legato alla tradizionale festa della Madonna del Rosario nella prima domenica di ottobre, torna anche nella seconda epigrafe latina, collocata il 7 ottobre 1756 dalla riconoscente pietà del popolo di Gabiano nella lapide di destra, a memoria di un avvenimento memorando per la borgata, fatta bersaglio di un imminente grave conflitto fra le truppe imperiali e quelle franco-ispane, che combattevano nel territorio Bresciano la guerra di successione al trono di Spagna.
Nella chiesa, sui tre altari e nelle otto arcate delle pareti, sei una vera galleria dei santi più popolari: San Rocco, San Vincenzo Ferreri, San Gottardo, San Nicola, San Gaetano Thiene, Sant’Andrea Avellino,Santo Giovanni Nepomuceno, San Giuseppe, Santo Stefano e San Carlo Borromeo.

Chiesa di San Genesio

L’origine della chiesa di San Genesio pare risalire per lo meno al 1200, ma l’unica parte primitiva rimasta intatta è il portichetto quattrocentesco sul fianco settentrionale della Chiesa, in fondo al quale è stato eretto del 1550 il sepolcro con statue che sono state, purtroppo, rovinate recentemente con inconsulti ritocchi. Vi sono avanzi di affreschi quattrocenteschi nello stesso portichetto e nella sacrestia, nei quali il Mimo San Genesio è rappresentato mentre suona il violino come un artista ambulante. Si trattava di ex voto dipinti invece che sulle solite tavole direttamente sui muri: ricordavano miracoli e prodigi attribuiti soprattutto a San Genesio, che infatti appare in tutti questi affreschi con una ripetitività quasi assillante.
Le origini del singolare culto di San Genesio a Borgo San Giacomo ci sono completamente ignote, ne sappiamo a quale influenze di pietà popolare attribuirle, se non forse mettendole in rapporto a qualche comico locale che abbia voluto onorare il suo protettore celeste erigendogli una chiesa, che era pure dotata di un Beneficio, oppure che sia stata una qualche Confraternita o Disciplina locale che l’abbia eretta come sede delle proprie opere di pietà e di carità.
Va segnalato che questa chiesa sino al 1463 era parrocchia autonoma, o rettoria come si diceva allora, la quale aveva pure il suo Beneficio che nel 1463 era in possesso del patrizio veneto Melchiorre Gritti.
Il primo documento in assoluto (che per i secoli seguenti rimarrà quasi l’unico) che cita questa chiesa è la ” Unione della rettoria di San Genesio a quella di San Giacomo Maggiore”, documento del 11 maggio 1463 conservato presso la curia vescovile. Sino a quell’anno, infatti, le entrate del beneficio annesso a questa rettoria erano in mano non tanto a un sacerdote ma ha un nobile Veneziano tale Melchiorre Gritti che si dice espressamente era “rettore della chiesa parrocchiale di San Genesio”e che in quell’anno rinunciò appunto a questo beneficio.
Il vescovo di Brescia, considerate le molte gravi ragioni di tale rinunzia, aderi a tale distanza e decretò che la parrocchia di San Genesio di Gabiano fosse unita e incorporata alla parrocchia di San Giacomo, allora e in perpetuo, consegnando per sempre in mano del rettore accettante, Don defendino loda parroco di San Giacomo la chiesa, cura, entrata e tutte le sue ragioni e pertinenze con obbligazione però che il detto rettore mantenesse un cappellano in perpetuo per celebrare ogni giorno in detta chiesa di San Genesio, a sua spese.
La chiesa attuale è un edificio quattrocentesco a pianta longitudinale. Il Campanile e la facciata sono della stessa epoca rinascimentale. La chiesa si presenta costruita in un sobrio e rustico stile gotico. La facciata a capanna non dà immediatamente accesso alla navata ma funge da pronte ad un portichetto, che, girando poi sul lato sinistro dell’edificio, è chiuso dalla cappella del sepolcro. La copertura è scandita da volte a crociera. Il portico copriva probabilmente un antico sepolcreto e presenta ancora affreschi quattrocenteschi.
La navata è stata profondamente rimaneggiata sul finire del secolo scorso: le pareti sono lisce, spoglie e chiuse da una soffittatura dipinta a cassettoni. Essa copre, probabilmente, L’antica copertura a vele o a capriate. Fortunatamente il presbiterio conserva le linee architettoniche originali. La sacrestia evidenzia ancora tracce da freschi rinascimentali e probabilmente fungeva la cappella del sepolcro, prima che il gruppo santuario fosse posto nell’attuale struttura. Ma una delle cose più belle della chiesa di San Genesio è sicuramente il sepolcro costruito nel 1550 in fondo al portichetto duecentesco che cinge lateralmente la chiesa.
Si tratta di uno splendido gruppo ligneo costituito dalla figura del Cristo giacente in un’urna di vetro circondato da 7 dolenti, che tradizionalmente si identificano nelle “Marie” ( la Vergine, La Maddalena, Maria di Cleofe e Salome), Wind San Giovanni evangelista, in Nicodemo e in Giuseppe d’Arimatea. È opera di intaglio rinascimentale, che ha immediati richiami con analoghi sepolcri in Capodiponte e Bienno.
Nello stesso sepolcro è presente il gruppo dell’incoronazione, anch’esso in legno policromo. Si presenta costituito da tre personaggi: centralmente la Vergine genuflessa e raccolta in preghiera, lateralmente a destra l’Eterno Padre e a sinistra il Cristo, colti nell’atto di incoronare la Madonna. È opera tardo cinquecentesca di buona fattura locale.
L’abitazione annessa alla chiesa di San Genesio era nei tempi passati il romitorio presso cui per diversi secoli dimorarono degli eremiti che vivevano di elemosine e custodivano la chiesa stessa. La prima notizia della presenza di un eremita a San Genesio è del 1585. Con questi eremiti i parroci di Gabiano stipulavano vere e proprie convenzioni.
Ma la quiete della piccola chiesetta campestre dopo più di sei secoli venne turbata da un fatto nuovo. Con l’arrivo dei francesi in Italia, furono proibite, con legge del 5 settembre 1806, le sepolture all’interno dei centri abitati. Si dovette abbandonare quello che in realtà era il nuovo camposanto di San Giacomo (detto anche “Sagrato”) costruito solo nel 1777, per edificare un altro camposanto esterno al paese. La scelta del sito fu quasi obbligata potendo così sfruttare la presenza della chiesetta di San Genesio. Nel 1820, quindi, si fece il camposanto nuovo. Terminato nel 1821, si rimase quasi un anno senza benedirlo perché tanti non lo volevano. Il cimitero venne Benedetto nel giugno 1822 quando si ebbe la visita del vescovo Gabriele Nava
Risulta poi che la chiesetta, dedicata non solo a San Genesio ma anche a San Fermo, era il luogo dove venivano portate le bestie per la benedizione, soprattutto in caso di malattie punto. È rimasto documentazione che, per esempio, nel 1825 vi fu il Gabiano il mal dei bovi. Del giorno di San Fermo fu portata allora la statua del Santo nella chiesa parrocchiale, furono celebrati messalta e il vespro e le bestie furono benedette a San Genesio. A riprova di questi fatti, vi è il grande quadro (220×185 cm) cibo pochi anni fa si trovava ancora in San Genesio e che ora, per maggiore sicurezza, è stato portato nella parrocchiale. Il titolo è “l’apparizione di San Fermo”: documenta la liberazione della pestilenza che colpiva gli animali. Infatti si vedono in alto la figura di questo santo e in basso una serie di animali con i loro proprietari.

Questi personaggi, che si rivolgono verso coloro che guardano il quadro stesso, sono sicuramente i committenti dell’opera. La cosa più interessante è però l’immagine centrale che mostra in primo piano la chiesetta di San Genesio e in lontananza la nostra Torre principale che è già senza cupola.
Gli esperti attribuiscono questo quadro al 1600 ma in realtà è della seconda metà del 1700.
Ed è molto facile capire il perché. Infatti la torre principale del nostro paese è stata costruita all’inizio del 1700. La mancanza della cupola è dovuta al fatto che la stessa era stata abbattuta dai fulmini nel 1769, e quindi il quadro è sicuramente dipinto in un periodo successivo a quell’evento.
Via San Genesio che San Fermo erano raffigurati anche in due stati a lignee che sino a pochi anni or sono erano conservate in due bellissimi nicchioni negli angoli anteriori della navata. Da alcuni anni sono state trasportate nella chiesa del Castello. La statua di San Genesio, provvista di liuto, è in legno policromo ed è alta 1,75 m. Ricordiamo che è stata costruita nel 1475 ed è buona opera di Baldo da Padova. La statua di San Fermo è invece provvista di Lancia, è alta 1,30 m sempre in legno policromo ed è buona opera del 1500.
La chiesa di San Genesio subì degli anni diversi interventi di restauro.
Oltre a quello sicuro del 1690, si sa che nel 1842 venne riparata la chiesa che era tutta in rovina, tanto che era crollato il soffitto. Venne finita in primavera punto del 1867 vi fu poi il famoso colera che fece in borgo più di 100 morti. Uno dei lazzaretti per i colerosi venne fatto in San Genesio. ciò spiega come quella chiesa, talvolta è troppo abbandonata, andasse rovinata una seconda volta.
Vi è anche un incartamento riguardante una lunga questione tra l’arciprete, la fabbriceria e il municipio per sapere a chi spettavano la manutenzione e il restauro della chiesa di San Genesio (solo perché nessuno voleva più accollarseli). Mentre la questione si trascinava insoluta, una buona signora, Vincenzina Abeni vedova di Domenico Scanzi, dal 1906 al 1908 si pose alla testa di un gruppo di volontari e la restaurò, riducendola come si trova al presente. Infatti la signora Scanzi, presa l’iniziativa del restauro, la fece decorare, fece mettere il pavimento, le balaustre, la Via Crucis, il crocifisso all’Altare Maggiore, il tappeto, il banco per i sacerdoti in presbiterio, tutti i paramenti della sacrestia e le campane sulla torre.